TRIBUNALE DI SALERNO Seconda Sezione penale In composizione monocratica e nella persona del Giudice dott. Ennio Trivelli; Letti gli atti del processo in epigrafe indicato, pendente a carico di M. A.; Decidendo sulle richieste formulate dalla difesa dell'imputato; Sentito il pubblico ministero; ha pronunziato la seguente ordinanza. 1. A.M. e' stato destinatario del decreto penale di condanna n. 193/2014 emesso dal giudice per le indagini preliminari di questo Tribunale in data 12/13 febbraio 2014, in relazione al reato p. e p. dall'art. 186 comma 2 lettera b) e comma 2-sexies del codice della strada, perche' guidava alle ore 03,30 circa del giorno 1° maggio 2013 l'autovettura in stato di ebbrezza alcolica accertata da personale della Questura di Salerno, mediante sottoposizione di M.A. ad accertamento etilico attraverso test alcolemico che evidenziava un tasso alcolico nel 1° test pari a 1,28 g/l alle ore 04,31 e 1,04 g/l alle ore 4,37, superiore al limite massimo consentito. Fatto contestato come commesso in data 1° maggio 2013. 1.1. Avverso il decreto penale di condanna il M. ha interposto, in data 18 marzo 2014, rituale e tempestiva opposizione, contestualmente chiedendo la definizione del processo ai sensi degli articoli 444 e ss. del codice di procedura penale, prospettando, con il consenso del pubblico ministero, in relazione all'imputazione sopra trascritta, l'applicazione della pena di giorni 14 di arresto ed euro 600,00 di ammenda da sostituirsi con quella del lavoro di pubblica utilita' ai sensi dell'art. 186 comma 9-bis del decreto legislativo n. 285/1992. 1.2. Il giudice per le indagini preliminari in sede, con ordinanza resa in data 20 novembre 2014, ha rigettato la richiesta di applicazione della pena rilevando che non poteva essere concessa all'imputato la chiesta sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilita' poiche' dall'analisi degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero emergeva che l'imputato aveva provocato un incidente stradale con feriti, con conseguente configurazione dell'aggravante di cui all'art. 186 comma 2-bis del codice della strada, ostativa all'applicazione dell'istituto. 1.3. Nel corso della medesima udienza camerale fissata per la delibazione dell'istanza di patteggiamento, la difesa dell'imputato, munita di procura speciale conferita dall'assistito, depositava istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi dell'art. 168-bis del codice penale, allegando la prova di avere formulato presso l'ufficio U.E.P.E di Salerno, in data 19 novembre 2014, richiesta di elaborazione di apposito programma di trattamento. Il giudice per le indagini preliminari, rigettata l'istanza di patteggiamento, rimetteva al primo giudice (quello che aveva emesso il decreto penale) ogni ulteriore determinazione. Il primo giudice, con decreto emesso in data 2 dicembre 2014 dichiarativo del non luogo a provvedere, rimetteva ogni ulteriore determinazione al giudice del dibattimento, di poi emettendo in data 7 gennaio 2015 decreto di giudizio immediato (a seguito di opposizione a decreto penale di condanna) per l'udienza del 28 ottobre 2015. 2. All'udienza del 28 ottobre 2015 dinanzi a questo Tribunale, dopo la costituzione delle parti, la difesa dell'imputato (dichiarato assente ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p.) reiterava l'istanza di sospensione del processo con messa alla prova dell'assistito. Acquisiti gli atti processuali pertinenti e raccolto il parere favorevole del pubblico ministero lo scrivente riservava la decisione rinviando al 19 novembre 2015, facultando le parti al deposito di memorie. In data 29 ottobre 2015 la difesa dell'imputato depositava memoria con la quale, ripercorrendo l'elaborazione della giurisprudenza costituzionale afferente all'art. 517 codice di procedura penale, con particolare riferimento alle pronunce dichiarative della illegittimita' costituzionale della disposizione in caso di contestazione c.d. patologica di circostanza aggravante, perorava l'istanza formulata prospettando in subordine la questione di costituzionalita' delle disposizioni di cui alla legge n. 67/2014 per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. 2.1. All'udienza del 19 novembre 2015 veniva disposta, per completare il quadro informativo necessario alla delibazione della questione, l'acquisizione di certificato del casellario giudiziale aggiornato e di certificato dei carichi pendenti afferenti alla persona del M. rinviando al 25 novembre 2015. 2.2. All'udienza del 25 novembre 2015 il pubblico ministero procedeva all'esplicita contestazione a M. A. dell'aggravante di cui all'art. 186 comma 2-bis codice della strada, nei sensi che seguono «perche' in stato di ebbrezza alcolica andava ad impattare contro la condotta dalla sig.ra T. F. provocando, cosi', incidente con feriti». Stante l'assenza dell'imputato si disponeva la notifica del verbale medesimo rinviando all'11 febbraio 2016. 2.3. All'udienza dell'11 febbraio 2016 dato atto dell'intervenuta notificazione all'imputato del verbale della precedente udienza, il difensore insisteva nella richiesta gia' formulata e il pubblico ministero reiterava la propria interlocuzione. Si rinviava per la decisione sulla questione all'udienza odierna. 2.4. Con memoria depositata in data 12 febbraio 2016, la difesa dell'imputato, dopo avere ripercorso sinteticamente gli snodi processuali sopra citati, ha rilevato come l'avvenuta contestazione dell'aggravante speciale di cui all'art. 186 comma 2-bis del codice della strada lasci emergere il tema del mancato intervento del legislatore sulla disposizione di cui all'art. 517 codice di procedura penale a seguito della introduzione dell'istituto della messa alla prova, da catalogare tra i c.d. «riti premiali». Ha rilevato ancora il difensore come la Corte costituzionale, molto recentemente, con sentenza n. 240 del 26 novembre 2015 abbia dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 464-bis comma 2 codice di procedura penale nella parte in cui, in assenza di una disciplina transitoria, preclude l'ammissione al detto istituto degli imputati di processi quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell'entrata in vigore della legge n. 67/2014. Ritiene la difesa che sebbene tale pronuncia precluda, in termini generali, l'accesso al procedimento speciale di cui si discute a fronte di richiesta formulata oltre i termini stabiliti dalle norme processuali, nondimeno il quadro dovrebbe mutare per effetto dell'avvenuta contestazione dell'aggravante suddetta. Si configurerebbe infatti secondo la difesa, nel caso qui ricorrente di contestazione tardiva (e quindi patologica) di una circostanza aggravante fondata su elementi gia' contenuti nel fascicolo del pubblico ministero prima dell'esercizio dell'azione penale, situazione analoga a quella gia' scrutinata dal Giudice delle leggi in relazione al giudizio abbreviato con sentenza n. 139 del 9 febbraio 2015, i cui passaggi salienti vengono dalla difesa stessa espressamente richiamati. La difesa dunque ha eccepito espressamente, con la memoria depositata, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di procedura penale nella parte in cui non prevede, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice l'accesso alla messa alla prova, relativamente al reato oggetto della nuova contestazione, prospettando il contrasto della norma processuale con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. Alla memoria depositata il difensore si e' richiamato all'odierna udienza, nella quale sono stati acquisiti il decreto penale n. 193/2014 e l'atto di opposizione a suo tempo formulato dal difensore stesso (depositato in data 18 marzo 2014). 3. Ritiene il giudicante che la questione posta dal difensore dell'imputato sia rilevante e non manifestamente infondata. 3.1. Con la legge 28 aprile 2014 n. 67 e' stato introdotto, all'interno del Libro VI del codice di procedura penale, destinato alla disciplina dei «procedimenti speciali» il Titolo V bis dedicato all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, suscettibile di essere richiesta dall'imputato nei casi previsti dall'art. 168-bis del codice penale, introdotto nel codice sostanziale dalla medesima legge. Sul piano liturgico, l'art. 464-bis codice di procedura penale, al comma 2, individua precisi limiti temporali entro i quali la richiesta di accesso al procedimento speciale puo' essere presentata (oralmente o per iscritto) e cioe': fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Nel caso di notificazione del decreto di giudizio immediato, la richiesta deve essere formulata entro il termine e con le forme di cui all'art. 458 comma 1 codice di procedura penale. Infine, ipotesi qui rilevante, nel procedimento con decreto, la richiesta e' presentata con l'atto di opposizione. Nel caso concreto, come emerge dalla sintesi dei dati processuali precedentemente compiuta, la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova e' stata formulata dal difensore procuratore speciale dell'imputato, nell'ambito di procedimento per decreto, non gia' con l'atto di opposizione, ma solo nell'ambito dell'udienza camerale fissata dal giudice per le indagini preliminari per decidere su istanza di patteggiamento poi rigettata. L'istanza, invero, non sarebbe stata proponibile con l'opposizione a decreto penale essendo stata quest'ultima formulata in data antecedente all'entrata in vigore delle disposizioni della legge n. 67/2014 introduttive dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato. La costante giurisprudenza di legittimita', tuttavia, e' assestata sull'interpretazione secondo la quale la mancata previsione da parte del legislatore del 2014 di una disciplina intertemporale impone di ritenere che l'avvenuto superamento dei termini per la presentazione della richiesta accesso all'istituto di cui si discute precluda l'ammissibilita' della richiesta stessa, quantunque la fase processuale costituente (a seconda del diverso rito) lo sbarramento preclusivo sia antecedente all'entrata in vigore della legge n. 67/2014 (si vedano, al riguardo, tra le piu' recenti, Cass. Sez. 3, sentenza n. 27071 del 24 aprile 2015, Rv. 263815, in tema di richiesta formulata nel giudizio di primo grado ordinario dopo l'apertura del dibattimento; Cass. Sez. 4, sentenza n. 43009 del 30 settembre 2015, Rv. 265331 relativamente ai giudizi di impugnazione). Tale assetto interpretativo ha ricevuto recentemente avallo da parte della Corte costituzionale la quale, con la sentenza n. 240 del 2015, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, «nella parte in cui, in assenza di una disciplina transitoria, analoga a quella di cui all'art. 15-bis, comma 1 della legge 11 agosto 2014, n. 118, preclude l'ammissione all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati di processi pendenti in primo grado, nei quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell'entrata in vigore della legge n. 67/2014». Questioni prospettate dal Tribunale di Torino per sospettato contrasto della norma con gli articoli 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della C.E.D.U. Pronunzia, quella del Giudice delle leggi, immediatamente ripresa dalla Suprema Corte a definitivo conforto dell'indirizzo interpretativa gia' consolidatosi (si veda, al riguardo, Cass. Sez. 1, sentenza 11168 depositata il 16 marzo 2016, dopo l'udienza del 2 dicembre 2015). Dunque, nel caso di specie, la richiesta formulata dal difensore e procuratore speciale del M. solo in data 20 novembre 2014, poi reiterata in dibattimento, risulterebbe tardiva poiche' posteriore alla scadenza del termine fissato dall'art. 464 comma 2 ultimo periodo codice di procedura penale nel procedimento per decreto del quale l'odierno processo costituisce gemmazione. Ne', e' appena il caso di precisarlo, nel contesto ermeneutico descritto puo' farsi questione dell'applicazione dell'istituto della remissione in termini di cui all'art. 175 codice di procedura penale, la cui spendibilita', in ogni caso, avrebbe presupposto una tempestiva attivazione dell'interessato nel ristretto termine di cui all'art. 175 comma 1 codice di procedura penale, il cui dies a quo non potrebbe che individuarsi nella data di pubblicazione della legge n. 67/2014 (2 maggio 2014) o, al piu' tardi, in quella di entrata in vigore delle relative disposizioni (17 maggio 2015) con conseguente ineluttabile tardivita' della richiesta di sospensione del procedimento ex art. 464-bis codice di procedura penale avanzata solo il 20 novembre 2014. 3.1. Tuttavia, come si e' visto il pubblico ministero nel corso del giudizio e prima dell'apertura del dibattimento, dunque senza lo svolgimento di alcuna istruttoria, ha contestato espressamente all'imputato la circostanza aggravante speciale di cui all'art. 186 comma 2-bis del codice della strada. E' da premettere che la giurisprudenza di legittimita' reputa applicabili al giudizio instaurato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna le regole ordinarie del giudizio dibattimentale, anche quanto alle nuove contestazioni (si vedano, al riguardo Cass. Sez. 1, sentenza n. 17312 del 15 aprile 2008, Rv. 240004; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 12293 del 9 febbraio 2005, Rv. 231054; Cass. Sez. 3, sentenza n. 23491 del 7 maggio 2009, Rv. 243966). E' ormai altrettanto consolidato - tanto da potere essere qualificato come diritto processuale vivente - l'orientamento della giurisprudenza di legittimita' che reputa perfettamente legittima e quindi ammissibile la contestazione, nel corso del giudizio, di una circostanza aggravante il cui sostrato fattuale fosse gia' contenuto negli atti delle indagini preliminari (puo' citarsi, per tutte, e tra le piu' recenti, Cass. Sez. 2, sentenza n. 45298 del 14 ottobre 2015, Rv. 264903). In relazione alla contestazione della circostanza aggravante, in particolare, l'orientamento succitato evidenzia che, opinando diversamente, la mancata contestazione nell'imputazione originaria risulterebbe irreparabile, essendo la medesima insuscettibile di formare oggetto di un autonomo giudizio penale (Cass. Sez. 2, sentenza n. 3192 dell'8 gennaio 2009, Rv. 242672), rilevandosi ulteriormente che tale facolta' processuale del pubblico ministero non sarebbe lesiva del diritto di difesa in quanto l'imputato ha facolta' di chiedere al giudice un termine per contrastare l'accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l'oblazione (Cass. Sez. 6, sentenza n. 18749 dell'11 aprile 2014, Rv. 262614), affermazione quest'ultima - giova precisarlo - che la Suprema Corte fonda su espressi riferimenti alle sentenze nn. 265/1994; 333/2009; 237/2012; 530/1995 della Corte costituzionale (sulle quali cfr. infra). 3.2. La questione che nella fattispecie concreta si pone, dunque, attiene al rilievo che la contestazione dell'aggravante c.d. tardiva (o altrimenti detta: patologica) possa assumere ai fini del recupero della facolta' processuale dell'imputato di ottenere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Come gia' chiarito, e' da escludere che ad una risposta affermativa al quesito possa giungersi attraverso l'istituto della restituzione nel termine o attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme costituzionali. I termini scanditi dall'art. 464-bis c.p.p. sono chiari e netti, previsti a pena di decadenza. Quello rilevante nel caso concreto e' stato ormai superato. Si pone, pero', la questione della compatibilita' con le norme costituzionali, segnatamente con gli articoli 24 e 3 della Carta Fondamentale, della previsione dell'art. 517 codice di procedura penale. Norma che come si e' detto, per come inverata dal diritto vivente, consente la contestazione della circostanza aggravante c.d. tardiva senza pero' prevedere che, all'esito di tale contestazione, l'imputato possa formulare la richiesta di accesso al procedimento speciale di nuovo conio in relazione al reato circostanziato frutto della nuova contestazione. 4. La questione e' senza dubbio rilevante nel presente processo. Il reato del quale l'imputato e' chiamato a rispondere e' punito, nella fattispecie base, con l'ammenda da euro 800,00 e l'arresto fino a sei mesi. La contestazione dell'aggravante di cui al comma 2-bis dell'art. 186 decreto legislativo n. 285/1992 comporta, astrattamente, il raddoppio delle pene suddette. La contestazione dell'aggravante di cui all'art. 2-sexies dello stesso decreto legislativo (gia' inclusa nella formulazione originaria dell'imputazione) incide soltanto sulla pena pecuniaria. Il reato dunque, avuto riguardo ai limiti edittali della pena prevista, rientra nell'ambito applicativo dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, perimetrato dall'art. 168-bis del codice penale (reati puniti con la sola edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria [...]). Pur senza alcuna anticipazione del profilo attinente alla concreta ammissione al procedimento speciale, e' opportuno rimarcare che l'imputato A. M. risulta incensurato e che il certificato dei carichi pendenti acquisiti lascia emergere che egli e' gravato unicamente dalla contestazione che sorregge l'odierno processo. Non ricorrono, allora, i casi di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale preclusivi dell'applicazione dell'istituto (art. 168-bis comma 5 c.p.). La difesa che ha formulato l'istanza e' munita di procura speciale ed ha dimostrato il deposito presso l'U.E.P.E. territorialmente competente della richiesta di elaborazione di programma di trattamento. L'imputato non e' stato ammesso in altre occasioni al procedimento speciale. Non si apprezzano e non si profilano allo stato degli atti i presupposti per una pronuncia ex art. 129 codice di procedura penale. Risulta utile dare atto, sempre ai fini della enucleazione della rilevanza della questione nel giudizio, che in data 13 aprile 2015 e' stato stipulato a Salerno un protocollo di intesa per la messa alla prova fra U.E.P.E., Tribunali e Ordini degli avvocati e Camere penali del Distretto di Corte appello di Salerno volto a delineare linee guida e indirizzi generali di comportamento idonei a garantire uniformi e piu' efficaci forme di prestazione del servizio di giustizia penale (secondo una tendenza organizzativa che permea di se' vari settori dell'apparato giurisdizionale e vari organi rappresentativi delle istituzioni coinvolte nella e dalla giurisdizione stessa: si veda, esemplificando, il Protocollo d'intesa tra la Corte di cassazione e Consiglio nazionale forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale siglato a Roma il 17 dicembre 2015). Il punto 5 del protocollo sulla messa alla prova suddetto (una copia del quale si inserisce nel fascicolo processuale per ogni consultazione) prevede che il giudice richieda all'U.E.P.E. di formulare il programma trattamentale solo dopo una positiva delibazione preliminare della ammissibilita' della sospensione del procedimento. Anche sotto questo profilo, dunque, risulta evidente come la determinazione di questo Tribunale in ordine alla possibilita' dell'imputato o del suo procuratore speciale di formulare la richiesta nonostante il formale superamento della barriera preclusiva temporale di cui all'art. 464-bis del codice di procedura penale, nel descritto quadro della insussistenza di elementi che rendano altrimenti evidente la non accessibilita' dell'istituto, assuma rilievo essenziale. 5. La questione posta, come preannunciato, si profila anche non manifestamente infondata. L'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, non soltanto per la sua collocazione topografica in seno al codice di rito (della quale si e' detto), ma anche per la funzione svolta, alternativa al giudizio dibattimentale ordinario, e' assimilabile ai riti dell'alternativa inquisitoria e quindi all'istituto del patteggiamento e del giudizio abbreviato. Sul piano degli effetti sostanziali, peraltro, conducendo - accanto ad una stasi fisiologica del procedimento per lo svolgimento della «prova» - all'esito estintivo del reato, presenta profili di contatto anche con l'istituto dell'ablazione. Si tratta, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 240 del 2015 - nella Gazzetta Ufficiale del 2 dicembre 2015, gia' citata) di istituto con effetti sostanziali, perche' produttivo dell'estinzione del reato, ma connotato di un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento messa alla prova (par. 2.1. del considerato in diritto della citata sentenza del Giudice delle leggi). Istituto, rileva ancora la Corte costituzionale, alternativo al giudizio e destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo. La possibilita' di accedere a questo procedimento speciale, in ragione degli effetti premiali e deflattivi ad esso connessi, e per la non indifferente connessione con profili rieducativi (inferibili dal percorso trattamentale in cui la messa alla prova deve sussistere: comma 2 dell'art. 168-bis c.p.) costituisce senza dubbio estrinsecazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 comma 2 della Costituzione. 5.1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 184 del 23-25 giugno 2014, ha riconosciuto il diritto dell'imputato a chiedere di essere ammesso al procedimento speciale di cui agli articoli 444 e ss. del codice di procedura penale nel caso in cui il pubblico ministero modifichi l'imputazione contestando una circostanza aggravante gia' risultante degli atti di indagine, espressamente chiarendo - nel solco della sua precedente giurisprudenza come l'opzione per un rito a carattere premiale costituisce declinazione del diritto di difesa, il quale include la facolta' di selezione della piu' conveniente fra le strategie difensive. Ha altresi' rilevato che l'imputato attinto dalla contestazione dibattimentale di una circostanza aggravante fondata su elementi gia' acquisiti al momento dell'esercizio dell'azione penale si trova in situazione non diversa dall'imputato attinto dalla modifica dell'imputazione. Con la sentenza n. 139 del 2015 (nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 15 luglio 2015), poi, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di procedura penale nella parte in cui nel caso di contestazione di circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. Anche tale pronuncia si pone sulla scia dei precedenti interventi demolitori della norma processuale in esame e di quella contigua di cui all'art. 516 codice di procedura penale, costituiti dalle sentenze n. 265 del 1994 (in tema di patteggiamento) e 333 del 2009 (relativa al giudizio abbreviato), cui va aggiunta la sentenza n. 530 del 1995 (afferente all'istituto dell'ablazione). E' stato espressamente rilevato (par. 4.2. della sentenza n. 139/2015 cit.) il pregiudizio del diritto di difesa, connesso all'impossibilita' di rivalutare la convenienza del rito alternativo in presenza di una variazione sostanziale dell'imputazione, intesa ad emendare precedenti errori od omissioni del pubblico ministero nell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari. Ed e' stata, altresi', stigmatizzata la violazione del principio di eguaglianza, correlata alla discriminazione cui l'imputato si trova esposto a seconda della maggiore o minore esattezza e completezza di quell'apprezzamento. 5.2. La situazione processuale posta dal caso qui in esame deve reputarsi senz'altro assimilabile a quelle scrutinate dal Giudice delle leggi con le citate pronunce. Funzione, essenza, idoneita' deflattiva, collocazione sistematica dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato rendono chiara l'assonanza delle situazioni. Assonanza la cui percezione non appare estranea alla stessa giurisprudenza costituzionale: con la gia' citata sentenza n. 240 del 2015, infatti, nel giudicare pienamente razionale e giustificata la scelta legislativa parificare la disciplina del termine per la richiesta di accesso procedimento speciale di cui discute, senza distinguere tra processi in corso e processi nuovi (profilo di presunta illegittimita' costituzionale paventato dal giudice remittente) la Corte ha, non casualmente, istituito parallelismo con l'analoga questione sorta in relazione al regime transitorio del giudizio abbreviato (all'art. 247 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), cosi' mostrando di apprezzare la comunanza di fondo degli istituti. Ne discende la possibilita' di richiamare nel caso di specie le osservazioni del Giudice delle leggi in ordine al fatto che la valutazione dell'imputato e del difensore circa la convenienza del rito alternativo sono funzione, innanzitutto, dell'impostazione data al processo dal pubblico ministero. A fronte di evenienze patologiche che immutano in modo sostanziale la situazione fattuale - processuale originariamente prospettatasi all'imputato e al suo difensore, tra le quali certamente rientra anche la contestazione tardiva di una circostanza aggravante, che produce incrementi sanzionatori (solo eventualmente con il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.) ma puo' generare effetti preclusivi dell'applicazione di istituti di favore - come dimostra proprio il caso in esame, in cui l'aggravante di avere provocato un incidente stradale sbarra la strada alla conversione della pena in lavoro di pubblica utilita' e al correlato effetto estintivo (preclusione che non e' evitata neppure da un'eventuale prevalenza sull'aggravante di circostanze attenuanti: ex multis, Cass. Sez. 4, sentenza n. 13853 del 4 febbraio 2015, Rv. 263012) - risulta lesivo del diritto di difesa dell'imputato precludere l'accesso ai riti speciali. 5.3 Non e' consentito allo scrivente, a fronte del disposto dell'art. 517 codice di procedura penale e dell'art. 464-bis codice di procedura penale, procedere ad interpretazioni volte ad adeguare le chiare previsioni normative al tessuto costituzionale. La necessita' dell'apprezzamento (e dell'eventuale intervento) demolitorio ulteriore della Corte costituzionale si trae dalla sequenza stessa dei precedenti sopra passati in rassegna. Il Giudice ordinario del reato non puo' procedere ad applicazioni analogiche delle pronunzie della Corte costituzionale, dotate di efficacia abrogativa della norma incostituzionale (cfr. per notazione l'ordinanza del Tribunale di Lecce in composizione collegiale del 9 luglio 2014 che promuoveva il giudizio di costituzionalita' poi sfociato nella sentenza della Corte costituzione n. 139 del 2015). 5.4 Deve allora rimettersi alla Costituzionale la questione della illegittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di procedura penale per contrasto con gli articoli 24 comma 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l'imputato cui sia stata contestata in dibattimento una circostanza aggravante gia' risultante dagli atti di indagine abbia facolta' richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi degli artt. 168-bis del codice penale e 464-bis e ss. codice di procedura penale, relativamente al reato oggetto della nuova contestazione.