TRIBUNALE DI SALERNO 
                       Seconda Sezione penale 
 
    In composizione monocratica e nella  persona  del  Giudice  dott.
Ennio Trivelli; 
    Letti gli atti del processo  in  epigrafe  indicato,  pendente  a
carico di M. A.; 
    Decidendo sulle richieste formulate dalla difesa dell'imputato; 
    Sentito  il  pubblico  ministero;  ha  pronunziato  la   seguente
ordinanza. 
    1. A.M. e' stato destinatario del decreto penale di  condanna  n.
193/2014 emesso dal giudice per le  indagini  preliminari  di  questo
Tribunale in data 12/13 febbraio 2014, in relazione al reato p. e  p.
dall'art. 186 comma 2 lettera b) e comma 2-sexies  del  codice  della
strada, perche' guidava alle ore 03,30 circa  del  giorno  1°  maggio
2013  l'autovettura  in  stato  di  ebbrezza  alcolica  accertata  da
personale della Questura di Salerno, mediante sottoposizione di  M.A.
ad accertamento etilico attraverso test alcolemico che evidenziava un
tasso alcolico nel 1° test pari a 1,28 g/l alle ore 04,31 e 1,04  g/l
alle  ore  4,37,  superiore  al  limite  massimo  consentito.   Fatto
contestato come commesso in data 1° maggio 2013. 
    1.1. Avverso il decreto penale di condanna il M.  ha  interposto,
in  data  18  marzo   2014,   rituale   e   tempestiva   opposizione,
contestualmente chiedendo la definizione del processo ai sensi  degli
articoli 444 e ss. del codice di procedura penale, prospettando,  con
il consenso del  pubblico  ministero,  in  relazione  all'imputazione
sopra trascritta, l'applicazione della pena di giorni 14  di  arresto
ed euro 600,00 di ammenda da sostituirsi con  quella  del  lavoro  di
pubblica utilita' ai sensi dell'art.  186  comma  9-bis  del  decreto
legislativo n. 285/1992. 
    1.2.  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  in  sede,  con
ordinanza resa in data 20 novembre 2014, ha rigettato la richiesta di
applicazione della pena rilevando  che  non  poteva  essere  concessa
all'imputato la chiesta sostituzione della  pena  con  il  lavoro  di
pubblica utilita'  poiche'  dall'analisi  degli  atti  contenuti  nel
fascicolo  del  pubblico  ministero  emergeva  che  l'imputato  aveva
provocato  un  incidente  stradale  con   feriti,   con   conseguente
configurazione dell'aggravante di cui all'art. 186  comma  2-bis  del
codice della strada, ostativa all'applicazione dell'istituto. 
    1.3. Nel corso della medesima udienza  camerale  fissata  per  la
delibazione dell'istanza di patteggiamento, la difesa  dell'imputato,
munita  di  procura  speciale  conferita  dall'assistito,  depositava
istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi
dell'art. 168-bis del codice penale,  allegando  la  prova  di  avere
formulato presso l'ufficio U.E.P.E di Salerno, in  data  19  novembre
2014, richiesta di elaborazione di apposito programma di trattamento. 
    Il giudice per le indagini preliminari,  rigettata  l'istanza  di
patteggiamento, rimetteva al primo giudice (quello che  aveva  emesso
il decreto penale) ogni ulteriore determinazione. 
    Il primo giudice, con decreto emesso  in  data  2  dicembre  2014
dichiarativo del non luogo a  provvedere,  rimetteva  ogni  ulteriore
determinazione al giudice del dibattimento, di poi emettendo in  data
7  gennaio  2015  decreto  di  giudizio  immediato  (a   seguito   di
opposizione a decreto  penale  di  condanna)  per  l'udienza  del  28
ottobre 2015. 
    2. All'udienza del 28 ottobre 2015 dinanzi  a  questo  Tribunale,
dopo la costituzione delle parti, la difesa dell'imputato (dichiarato
assente ai sensi dell'art. 420-bis  c.p.p.)  reiterava  l'istanza  di
sospensione  del  processo  con  messa  alla  prova   dell'assistito.
Acquisiti gli  atti  processuali  pertinenti  e  raccolto  il  parere
favorevole del pubblico ministero lo scrivente riservava la decisione
rinviando al 19 novembre 2015, facultando le  parti  al  deposito  di
memorie. 
    In data  29  ottobre  2015  la  difesa  dell'imputato  depositava
memoria   con   la   quale,   ripercorrendo   l'elaborazione    della
giurisprudenza  costituzionale  afferente  all'art.  517  codice   di
procedura  penale,  con   particolare   riferimento   alle   pronunce
dichiarative della illegittimita' costituzionale  della  disposizione
in caso di contestazione c.d. patologica di  circostanza  aggravante,
perorava l'istanza formulata prospettando in subordine  la  questione
di costituzionalita' delle disposizioni di cui alla legge n.  67/2014
per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. 
    2.1. All'udienza  del  19  novembre  2015  veniva  disposta,  per
completare il quadro informativo necessario  alla  delibazione  della
questione, l'acquisizione di certificato  del  casellario  giudiziale
aggiornato e di  certificato  dei  carichi  pendenti  afferenti  alla
persona del M. rinviando al 25 novembre 2015. 
    2.2. All'udienza del  25  novembre  2015  il  pubblico  ministero
procedeva all'esplicita contestazione a M. A. dell'aggravante di  cui
all'art. 186 comma 2-bis codice della strada, nei sensi  che  seguono
«perche' in stato di ebbrezza alcolica andava ad impattare contro  la
condotta dalla sig.ra T. F. provocando, cosi', incidente con feriti». 
    Stante l'assenza  dell'imputato  si  disponeva  la  notifica  del
verbale medesimo rinviando all'11 febbraio 2016. 
    2.3. All'udienza dell'11 febbraio 2016 dato atto dell'intervenuta
notificazione all'imputato del verbale della precedente  udienza,  il
difensore insisteva nella richiesta  gia'  formulata  e  il  pubblico
ministero reiterava la propria interlocuzione.  Si  rinviava  per  la
decisione sulla questione all'udienza odierna. 
    2.4. Con memoria depositata in data 12 febbraio 2016,  la  difesa
dell'imputato,  dopo  avere  ripercorso  sinteticamente   gli   snodi
processuali sopra citati, ha rilevato come  l'avvenuta  contestazione
dell'aggravante speciale di cui all'art. 186 comma 2-bis  del  codice
della strada lasci  emergere  il  tema  del  mancato  intervento  del
legislatore  sulla  disposizione  di  cui  all'art.  517  codice   di
procedura penale a seguito  della  introduzione  dell'istituto  della
messa alla prova, da catalogare tra i c.d. «riti premiali». 
    Ha rilevato ancora il difensore  come  la  Corte  costituzionale,
molto recentemente, con sentenza n. 240 del 26  novembre  2015  abbia
dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 464-bis comma 2 codice di procedura penale nella  parte  in
cui, in assenza di una disciplina transitoria, preclude  l'ammissione
al detto istituto degli imputati di processi quali  la  dichiarazione
di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima  dell'entrata
in vigore della legge n. 67/2014. 
    Ritiene la difesa che sebbene tale pronuncia precluda, in termini
generali, l'accesso al procedimento speciale  di  cui  si  discute  a
fronte di richiesta formulata oltre i termini stabiliti  dalle  norme
processuali,  nondimeno  il  quadro  dovrebbe  mutare   per   effetto
dell'avvenuta contestazione dell'aggravante suddetta. 
    Si  configurerebbe  infatti  secondo  la  difesa,  nel  caso  qui
ricorrente di contestazione tardiva  (e  quindi  patologica)  di  una
circostanza  aggravante  fondata  su  elementi  gia'  contenuti   nel
fascicolo del pubblico  ministero  prima  dell'esercizio  dell'azione
penale, situazione analoga a quella gia' scrutinata dal Giudice delle
leggi in relazione al giudizio abbreviato con sentenza n. 139  del  9
febbraio 2015, i cui passaggi salienti vengono  dalla  difesa  stessa
espressamente richiamati. 
    La difesa  dunque  ha  eccepito  espressamente,  con  la  memoria
depositata, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517  codice  di
procedura penale  nella  parte  in  cui  non  prevede,  nel  caso  di
contestazione di una circostanza aggravante che gia' risultava  dagli
atti di indagine al momento  dell'esercizio  dell'azione  penale,  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice l'accesso alla  messa
alla prova, relativamente al reato oggetto della nuova contestazione,
prospettando il contrasto della norma processuale con gli articoli  3
e 24 della Costituzione. 
    Alla memoria depositata il difensore si e' richiamato all'odierna
udienza, nella quale  sono  stati  acquisiti  il  decreto  penale  n.
193/2014 e l'atto di opposizione a suo tempo formulato dal  difensore
stesso (depositato in data 18 marzo 2014). 
    3. Ritiene il giudicante che la  questione  posta  dal  difensore
dell'imputato sia rilevante e non manifestamente infondata. 
    3.1. Con la legge 28 aprile  2014  n.  67  e'  stato  introdotto,
all'interno del Libro VI del codice di  procedura  penale,  destinato
alla disciplina dei «procedimenti speciali» il Titolo V bis  dedicato
all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova,
suscettibile di essere  richiesta  dall'imputato  nei  casi  previsti
dall'art.  168-bis  del  codice   penale,   introdotto   nel   codice
sostanziale dalla medesima legge. 
    Sul piano liturgico, l'art. 464-bis codice di  procedura  penale,
al comma 2, individua precisi  limiti  temporali  entro  i  quali  la
richiesta di accesso al procedimento speciale puo' essere  presentata
(oralmente o per iscritto) e cioe': fino a che non siano formulate le
conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 o fino  alla  dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo
e nel procedimento di citazione  diretta  a  giudizio.  Nel  caso  di
notificazione del decreto di giudizio immediato,  la  richiesta  deve
essere formulata entro il termine e con le forme di cui all'art.  458
comma 1 codice di procedura penale. Infine,  ipotesi  qui  rilevante,
nel procedimento con decreto, la richiesta e' presentata  con  l'atto
di opposizione. 
    Nel caso concreto, come emerge dalla sintesi dei dati processuali
precedentemente   compiuta,   la   richiesta   di   sospensione   del
procedimento con messa alla prova e' stata  formulata  dal  difensore
procuratore speciale dell'imputato, nell'ambito di  procedimento  per
decreto, non gia' con l'atto  di  opposizione,  ma  solo  nell'ambito
dell'udienza camerale fissata dal giudice per le indagini preliminari
per decidere su istanza di patteggiamento poi rigettata. 
    L'istanza,   invero,   non   sarebbe   stata   proponibile    con
l'opposizione a decreto penale essendo stata  quest'ultima  formulata
in data antecedente all'entrata in vigore  delle  disposizioni  della
legge n. 67/2014 introduttive  dell'istituto  della  sospensione  del
procedimento con messa alla prova dell'imputato. 
    La  costante  giurisprudenza  di   legittimita',   tuttavia,   e'
assestata sull'interpretazione secondo la quale la mancata previsione
da parte del legislatore del 2014 di  una  disciplina  intertemporale
impone di ritenere che l'avvenuto  superamento  dei  termini  per  la
presentazione della richiesta accesso all'istituto di cui si  discute
precluda l'ammissibilita' della richiesta stessa, quantunque la  fase
processuale costituente (a seconda del diverso rito)  lo  sbarramento
preclusivo sia antecedente  all'entrata  in  vigore  della  legge  n.
67/2014 (si vedano, al riguardo, tra le piu' recenti, Cass.  Sez.  3,
sentenza n. 27071  del  24  aprile  2015,  Rv.  263815,  in  tema  di
richiesta formulata  nel  giudizio  di  primo  grado  ordinario  dopo
l'apertura del dibattimento; Cass. Sez. 4, sentenza n. 43009  del  30
settembre 2015, Rv. 265331 relativamente ai giudizi di impugnazione). 
    Tale assetto interpretativo ha ricevuto  recentemente  avallo  da
parte della Corte costituzionale la quale, con la sentenza n. 240 del
2015,  ha  dichiarato  non  fondate  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, «nella parte  in  cui,  in
assenza di una  disciplina  transitoria,  analoga  a  quella  di  cui
all'art. 15-bis, comma 1 della legge 11 agosto 2014, n. 118, preclude
l'ammissione all'istituto  della  sospensione  del  procedimento  con
messa alla prova degli imputati di processi pendenti in primo  grado,
nei quali la dichiarazione di apertura  del  dibattimento  sia  stata
effettuata prima dell'entrata in  vigore  della  legge  n.  67/2014».
Questioni  prospettate  dal  Tribunale  di  Torino   per   sospettato
contrasto della norma con gli articoli 3, 24, 111 e 117, primo comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  della
C.E.D.U. Pronunzia, quella del Giudice  delle  leggi,  immediatamente
ripresa dalla Suprema  Corte  a  definitivo  conforto  dell'indirizzo
interpretativa gia' consolidatosi (si veda, al riguardo,  Cass.  Sez.
1, sentenza 11168 depositata il 16 marzo 2016, dopo l'udienza  del  2
dicembre 2015). 
    Dunque, nel caso di specie, la richiesta formulata dal  difensore
e procuratore speciale del M. solo in  data  20  novembre  2014,  poi
reiterata in dibattimento, risulterebbe  tardiva  poiche'  posteriore
alla scadenza del  termine  fissato  dall'art.  464  comma  2  ultimo
periodo codice di procedura penale nel procedimento per  decreto  del
quale l'odierno processo costituisce gemmazione. 
    Ne', e' appena il caso di precisarlo,  nel  contesto  ermeneutico
descritto puo' farsi questione dell'applicazione dell'istituto  della
remissione in termini di cui all'art. 175 codice di procedura penale,
la  cui  spendibilita',  in  ogni  caso,  avrebbe   presupposto   una
tempestiva attivazione dell'interessato nel ristretto termine di  cui
all'art. 175 comma 1 codice di procedura penale, il cui  dies  a  quo
non potrebbe che individuarsi nella data di pubblicazione della legge
n. 67/2014 (2 maggio 2014) o, al piu' tardi, in quella di entrata  in
vigore delle relative disposizioni (17 maggio 2015)  con  conseguente
ineluttabile  tardivita'   della   richiesta   di   sospensione   del
procedimento ex art. 464-bis codice di procedura penale avanzata solo
il 20 novembre 2014. 
    3.1. Tuttavia, come si e' visto il pubblico ministero  nel  corso
del giudizio e prima dell'apertura del dibattimento, dunque senza  lo
svolgimento  di  alcuna  istruttoria,  ha  contestato   espressamente
all'imputato la circostanza aggravante speciale di cui  all'art.  186
comma 2-bis del codice della strada. 
    E' da premettere che la  giurisprudenza  di  legittimita'  reputa
applicabili al giudizio instaurato a seguito di opposizione a decreto
penale di condanna le regole ordinarie del  giudizio  dibattimentale,
anche quanto alle nuove contestazioni (si vedano, al  riguardo  Cass.
Sez. 1, sentenza n. 17312 del 15 aprile 2008, Rv. 240004; Cass.  Sez.
3, Ordinanza n. 12293 del 9 febbraio 2005, Rv. 231054; Cass. Sez.  3,
sentenza n. 23491 del 7 maggio 2009, Rv. 243966). 
    E'  ormai  altrettanto  consolidato  -  tanto  da  potere  essere
qualificato come diritto processuale vivente -  l'orientamento  della
giurisprudenza di legittimita' che reputa perfettamente  legittima  e
quindi ammissibile la contestazione, nel corso del giudizio,  di  una
circostanza aggravante il cui sostrato fattuale fosse gia'  contenuto
negli atti delle indagini preliminari (puo' citarsi, per tutte, e tra
le piu' recenti, Cass. Sez. 2, sentenza n. 45298 del 14 ottobre 2015,
Rv. 264903). 
    In relazione alla contestazione della circostanza aggravante,  in
particolare,  l'orientamento  succitato   evidenzia   che,   opinando
diversamente, la mancata  contestazione  nell'imputazione  originaria
risulterebbe irreparabile,  essendo  la  medesima  insuscettibile  di
formare oggetto  di  un  autonomo  giudizio  penale  (Cass.  Sez.  2,
sentenza n.  3192  dell'8  gennaio  2009,  Rv.  242672),  rilevandosi
ulteriormente che tale facolta' processuale  del  pubblico  ministero
non sarebbe lesiva del diritto di  difesa  in  quanto  l'imputato  ha
facolta' di chiedere al giudice un termine per contrastare  l'accusa,
esercitando ogni prerogativa difensiva come  la  richiesta  di  nuove
prove o il diritto ad essere rimesso in  termini  per  chiedere  riti
alternativi o l'oblazione (Cass. Sez. 6, sentenza  n.  18749  dell'11
aprile  2014,  Rv.  262614),  affermazione   quest'ultima   -   giova
precisarlo - che la Suprema Corte fonda su espressi riferimenti  alle
sentenze nn.  265/1994;  333/2009;  237/2012;  530/1995  della  Corte
costituzionale (sulle quali cfr. infra). 
    3.2. La questione che nella fattispecie concreta si pone, dunque,
attiene al rilievo che la contestazione dell'aggravante c.d.  tardiva
(o altrimenti detta: patologica) possa assumere ai fini del  recupero
della facolta' processuale dell'imputato di ottenere  la  sospensione
del procedimento con messa alla prova. 
    Come  gia'  chiarito,  e'  da  escludere  che  ad  una   risposta
affermativa al quesito possa giungersi  attraverso  l'istituto  della
restituzione nel termine o attraverso una lettura  costituzionalmente
orientata delle norme costituzionali. 
    I termini scanditi dall'art. 464-bis c.p.p. sono chiari e  netti,
previsti a pena di decadenza. Quello rilevante nel caso  concreto  e'
stato ormai superato. 
    Si pone, pero', la questione della compatibilita'  con  le  norme
costituzionali, segnatamente con gli articoli  24  e  3  della  Carta
Fondamentale, della previsione  dell'art.  517  codice  di  procedura
penale. Norma che come si e' detto, per  come  inverata  dal  diritto
vivente, consente la contestazione della circostanza aggravante  c.d.
tardiva senza pero' prevedere che, all'esito di  tale  contestazione,
l'imputato possa formulare la richiesta di  accesso  al  procedimento
speciale di nuovo conio in relazione al reato  circostanziato  frutto
della nuova contestazione. 
    4. La questione e' senza dubbio rilevante nel presente processo. 
    Il reato del quale l'imputato e' chiamato a rispondere e' punito,
nella fattispecie base, con l'ammenda da euro 800,00 e l'arresto fino
a sei mesi. 
    La contestazione dell'aggravante di cui al comma 2-bis  dell'art.
186 decreto  legislativo  n.  285/1992  comporta,  astrattamente,  il
raddoppio delle pene suddette. 
    La contestazione dell'aggravante di cui all'art.  2-sexies  dello
stesso  decreto  legislativo   (gia'   inclusa   nella   formulazione
originaria dell'imputazione) incide soltanto sulla pena pecuniaria. 
    Il reato dunque, avuto riguardo ai  limiti  edittali  della  pena
prevista,  rientra  nell'ambito   applicativo   dell'istituto   della
sospensione del procedimento  con  messa  alla  prova  dell'imputato,
perimetrato dall'art. 168-bis del codice penale (reati puniti con  la
sola edittale  pecuniaria  o  con  la  pena  edittale  detentiva  non
superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta  o  alternativa
alla pena pecuniaria [...]). 
    Pur  senza  alcuna  anticipazione  del  profilo  attinente   alla
concreta ammissione al procedimento speciale, e' opportuno  rimarcare
che l'imputato A. M. risulta incensurato e  che  il  certificato  dei
carichi pendenti  acquisiti  lascia  emergere  che  egli  e'  gravato
unicamente dalla contestazione che sorregge l'odierno processo. 
    Non ricorrono, allora, i casi di cui agli articoli 102, 103, 104,
105  e   108   del   codice   penale   preclusivi   dell'applicazione
dell'istituto (art. 168-bis comma 5 c.p.). 
    La difesa  che  ha  formulato  l'istanza  e'  munita  di  procura
speciale   ed   ha   dimostrato   il   deposito   presso   l'U.E.P.E.
territorialmente  competente  della  richiesta  di  elaborazione   di
programma di trattamento. 
    L'imputato  non  e'  stato  ammesso   in   altre   occasioni   al
procedimento speciale. 
    Non si apprezzano e non si profilano  allo  stato  degli  atti  i
presupposti per una pronuncia ex art. 129 codice di procedura penale. 
    Risulta utile dare atto, sempre ai fini della enucleazione  della
rilevanza della questione nel giudizio, che in data 13 aprile 2015 e'
stato stipulato a Salerno un protocollo di intesa per la  messa  alla
prova fra U.E.P.E., Tribunali e Ordini degli avvocati e Camere penali
del Distretto di Corte appello di Salerno  volto  a  delineare  linee
guida e  indirizzi  generali  di  comportamento  idonei  a  garantire
uniformi e  piu'  efficaci  forme  di  prestazione  del  servizio  di
giustizia penale (secondo una tendenza organizzativa  che  permea  di
se'  vari  settori  dell'apparato  giurisdizionale  e   vari   organi
rappresentativi   delle   istituzioni   coinvolte   nella   e   dalla
giurisdizione stessa: si veda, esemplificando, il Protocollo d'intesa
tra la Corte di cassazione e Consiglio nazionale  forense  in  merito
alle regole redazionali dei  motivi  di  ricorso  in  materia  penale
siglato a Roma il 17 dicembre 2015). 
    Il punto 5 del protocollo sulla messa alla  prova  suddetto  (una
copia del quale si  inserisce  nel  fascicolo  processuale  per  ogni
consultazione)  prevede  che  il  giudice  richieda  all'U.E.P.E.  di
formulare  il  programma  trattamentale  solo   dopo   una   positiva
delibazione preliminare della ammissibilita'  della  sospensione  del
procedimento. 
    Anche sotto questo profilo,  dunque,  risulta  evidente  come  la
determinazione  di  questo  Tribunale  in  ordine  alla  possibilita'
dell'imputato  o  del  suo  procuratore  speciale  di  formulare   la
richiesta nonostante il formale superamento della barriera preclusiva
temporale di cui all'art. 464-bis del codice di procedura penale, nel
descritto  quadro  della  insussistenza  di  elementi   che   rendano
altrimenti  evidente  la  non  accessibilita'  dell'istituto,  assuma
rilievo essenziale. 
    5. La questione posta, come preannunciato, si profila  anche  non
manifestamente infondata. 
    L'istituto della sospensione  del  procedimento  con  messa  alla
prova, non soltanto per la sua collocazione topografica  in  seno  al
codice di rito (della quale si e' detto), ma anche  per  la  funzione
svolta,  alternativa  al  giudizio   dibattimentale   ordinario,   e'
assimilabile  ai  riti   dell'alternativa   inquisitoria   e   quindi
all'istituto del patteggiamento e del giudizio abbreviato. 
    Sul piano  degli  effetti  sostanziali,  peraltro,  conducendo  -
accanto ad una stasi fisiologica del procedimento per lo  svolgimento
della «prova» - all'esito estintivo del reato,  presenta  profili  di
contatto anche con l'istituto dell'ablazione. 
    Si  tratta,  come  rilevato  dalla  stessa  Corte  costituzionale
(sentenza n. 240 del 2015 - nella Gazzetta Ufficiale del  2  dicembre
2015, gia' citata)  di  istituto  con  effetti  sostanziali,  perche'
produttivo dell'estinzione del reato, ma connotato  di  un'intrinseca
dimensione processuale, in quanto consiste in un  nuovo  procedimento
speciale, alternativo al giudizio, nel  corso  del  quale  il giudice
decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del  procedimento
messa alla prova (par. 2.1. del considerato in diritto  della  citata
sentenza del Giudice delle leggi). 
    Istituto, rileva ancora la Corte costituzionale,  alternativo  al
giudizio e destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo. 
    La possibilita' di accedere a questo  procedimento  speciale,  in
ragione degli effetti premiali e deflattivi ad esso connessi,  e  per
la non indifferente connessione con profili  rieducativi  (inferibili
dal  percorso  trattamentale  in  cui  la  messa  alla   prova   deve
sussistere: comma 2 dell'art. 168-bis c.p.) costituisce senza  dubbio
estrinsecazione del diritto di difesa di  cui  all'art.  24  comma  2
della Costituzione. 
    5.1. La Corte costituzionale, con la sentenza n.  184  del  23-25
giugno 2014, ha riconosciuto il diritto dell'imputato a  chiedere  di
essere ammesso al procedimento speciale di cui agli  articoli  444  e
ss. del codice di procedura  penale  nel  caso  in  cui  il  pubblico
ministero  modifichi  l'imputazione   contestando   una   circostanza
aggravante gia' risultante  degli  atti  di  indagine,  espressamente
chiarendo  -  nel  solco  della  sua precedente  giurisprudenza  come
l'opzione per un rito a carattere premiale  costituisce  declinazione
del diritto di difesa, il quale  include  la  facolta'  di  selezione
della piu'  conveniente  fra  le  strategie  difensive.  Ha  altresi'
rilevato che l'imputato attinto dalla contestazione dibattimentale di
una circostanza aggravante fondata  su  elementi  gia'  acquisiti  al
momento dell'esercizio dell'azione penale si trova in situazione  non
diversa dall'imputato attinto dalla modifica dell'imputazione. 
    Con la sentenza n. 139 del 2015 (nella Gazzetta Ufficiale  n.  28
del 15 luglio 2015),  poi,  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art.  517  codice  di  procedura
penale nella parte in cui nel caso di  contestazione  di  circostanza
aggravante che gia' risultava  dagli  atti  di  indagine  al  momento
dell'esercizio  dell'azione   penale,   non   prevede   la   facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento  il  giudizio
abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova  contestazione.
Anche tale pronuncia si pone sulla  scia  dei  precedenti  interventi
demolitori della norma processuale in esame e di quella  contigua  di
cui  all'art.  516  codice  di  procedura  penale,  costituiti  dalle
sentenze n. 265 del 1994 (in tema di patteggiamento) e 333  del  2009
(relativa al giudizio abbreviato), cui va aggiunta la sentenza n. 530
del 1995 (afferente all'istituto dell'ablazione). 
    E' stato espressamente rilevato  (par.  4.2.  della  sentenza  n.
139/2015  cit.)  il  pregiudizio  del  diritto  di  difesa,  connesso
all'impossibilita' di rivalutare la convenienza del rito  alternativo
in presenza di una variazione sostanziale dell'imputazione, intesa ad
emendare  precedenti  errori  od  omissioni  del  pubblico  ministero
nell'apprezzamento dei risultati delle indagini  preliminari.  Ed  e'
stata,  altresi',  stigmatizzata  la  violazione  del  principio   di
eguaglianza, correlata alla discriminazione cui l'imputato  si  trova
esposto a seconda della maggiore o minore esattezza e completezza  di
quell'apprezzamento. 
    5.2. La situazione processuale posta dal caso qui in  esame  deve
reputarsi senz'altro assimilabile a  quelle  scrutinate  dal  Giudice
delle leggi con le citate pronunce. 
    Funzione, essenza, idoneita' deflattiva, collocazione sistematica
dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova
dell'imputato rendono chiara l'assonanza delle situazioni. 
    Assonanza la cui  percezione  non  appare  estranea  alla  stessa
giurisprudenza costituzionale: con la gia' citata sentenza n. 240 del
2015, infatti, nel giudicare pienamente razionale e  giustificata  la
scelta legislativa  parificare  la  disciplina  del  termine  per  la
richiesta di accesso procedimento  speciale  di  cui  discute,  senza
distinguere tra processi  in  corso  e  processi  nuovi  (profilo  di
presunta  illegittimita'   costituzionale   paventato   dal   giudice
remittente) la Corte ha, non casualmente, istituito parallelismo  con
l'analoga questione sorta in  relazione  al  regime  transitorio  del
giudizio abbreviato (all'art.  247  delle  norme  di  attuazione,  di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate
con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), cosi'  mostrando  di
apprezzare la comunanza di fondo degli istituti. 
    Ne discende la possibilita' di richiamare nel caso di  specie  le
osservazioni del Giudice delle  leggi  in  ordine  al  fatto  che  la
valutazione dell'imputato e del difensore circa  la  convenienza  del
rito alternativo sono funzione, innanzitutto, dell'impostazione  data
al processo dal pubblico ministero. A fronte di evenienze patologiche
che immutano in modo sostanziale la situazione fattuale - processuale
originariamente prospettatasi all'imputato e al suo difensore, tra le
quali certamente  rientra  anche  la  contestazione  tardiva  di  una
circostanza aggravante, che  produce  incrementi  sanzionatori  (solo
eventualmente con il giudizio di bilanciamento ex art.  69  c.p.)  ma
puo' generare effetti  preclusivi  dell'applicazione  di istituti  di
favore - come dimostra proprio il caso in esame, in cui  l'aggravante
di avere provocato  un  incidente  stradale  sbarra  la  strada  alla
conversione della pena in lavoro di pubblica utilita' e al  correlato
effetto  estintivo  (preclusione  che  non  e'  evitata  neppure   da
un'eventuale prevalenza sull'aggravante di circostanze attenuanti: ex
multis, Cass. Sez. 4, sentenza n. 13853  del  4  febbraio  2015,  Rv.
263012)  -  risulta  lesivo  del  diritto  di  difesa   dell'imputato
precludere l'accesso ai riti speciali. 
    5.3 Non e' consentito  allo  scrivente,  a  fronte  del  disposto
dell'art. 517 codice di procedura penale e dell'art.  464-bis  codice
di procedura penale, procedere ad interpretazioni volte  ad  adeguare
le  chiare  previsioni  normative  al  tessuto   costituzionale.   La
necessita'   dell'apprezzamento   (e    dell'eventuale    intervento)
demolitorio  ulteriore  della  Corte  costituzionale  si  trae  dalla
sequenza stessa dei precedenti sopra passati in rassegna. Il  Giudice
ordinario del reato non puo'  procedere  ad  applicazioni  analogiche
delle pronunzie  della  Corte  costituzionale,  dotate  di  efficacia
abrogativa  della  norma   incostituzionale   (cfr.   per   notazione
l'ordinanza del Tribunale di Lecce in composizione collegiale  del  9
luglio 2014 che  promuoveva  il  giudizio  di  costituzionalita'  poi
sfociato nella sentenza della Corte costituzione n. 139 del 2015). 
    5.4 Deve allora rimettersi alla Costituzionale la questione della
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  517  codice  di  procedura
penale  per contrasto  con  gli  articoli  24  comma  2  e  3   della
Costituzione, nella parte in cui non prevede che l'imputato  cui  sia
stata contestata in  dibattimento  una  circostanza  aggravante  gia'
risultante dagli  atti  di  indagine  abbia  facolta'  richiedere  la
sospensione del procedimento con messa  alla  prova  ai  sensi  degli
artt. 168-bis del codice penale e 464-bis e ss. codice  di  procedura
penale, relativamente al reato oggetto della nuova contestazione.